Le memorie del dio azteco

L’intera opera è dunque il risultato del lavoro di un fabbro, che con martello, lima, ferro, idrogeno ed elio, battendo e ribattendo sull’incudine del cervello, ha lavorato instancabilmente il metallo caotico e incandescente dei neuroni, degli assoni, delle sinapsi e dei dendriti delle citazioni di poeti, scrittori, letterati, scienziati, artisti, musicisti e filosofi. Sarebbe un orribile destino per questo dio e per il fabbro che ha impiegato trent’anni per modellare quest’opera, se questo metallo lucente fosse confinato per sempre nella fornace dove è stato concepito, sprofondato in un gelido oblio, in un avello coperto da una lapide di lava pietrificata. L’augurio è che il cuore del dio azteco, simile al sole che mai tramonta, abbia la forza, come una fenice che rinasca dalle sue ceneri, di spiccare un volo d’aquila per lanciarsi verso quei territori dello spirito dove la luce delle sue memorie possa risplendere con maggior intensità.